Un’orchestra sott’acqua?!?!

Tulips

Siamo a ridosso del capodanno e ci ricordiamo vividamente i concerti tenutisi per questa festività. Pertanto le immagini viste in televisione ci evocano la prima delle poesie pubblicate da Quasimodo dopo il 1930, che dà il nome alla seconda parte della raccolta, quella con carattere ermetico, che si nota sin dal titolo. Eccola:

Oboe sommerso

Avara pena, tarda il mio dono

in questa mia ora

di sospirati abbandoni.

 

Un òboe gelido risillaba

gioia di foglie perenni,

non mie, e smemora,

 

in me si fa sera l’acqua tramonta

sulle mie mani erbose.

 

Ali oscillano in fioco cielo,

labili: il cuore trasmigra

ed io son gerbido,

 

e i giorni una maceria.

Perchè possiamo definire “ermetica” questa composizione poetica? Nell’articolo precedente abbiamo detto che l’ermetismo si avvale di un linguaggio allusivo e simbolico. Notiamo infatti che Quasimodo, sin dal titolo, accosta due parole appartenenti a campi semantici diversi, cioè con significati che non hanno apparentemente nessun rapporto tra loro. La prima cosa che infatti ci chiediamo è questa: perchè mai uno strumento musicale a fiato quale un oboe dovrebbe essere sommerso? E da che cosa? Dall’acqua? Dal fango? Dal risentimento? In questo caso si tratterebbe di metafora…..

Vi ricordate che cosa sia una metafora? Facciamone subito un esempio: se diciamo “sei un fulmine”, ne usiamo una, poichè, concretamente, non vogliamo dire che una persona sia una saetta carica di elettricità, bensì che sia veloce come essa. Per cui, con una similitudine, accostiamo due concetti diversi (in questo caso la persona ed il fulmine) e l’ultimo perde la propria valenza concreta.

Ora: con l’ermetismo la poesia deve evocare. Anche se il linguaggio poetico non risulta chiaro, è importante che esso susciti nel lettore una reazione, che può essere diversa da persona a persona. (Guglielmino Grosser).

Proviamo pertanto ad analizzare in base a queste considerazioni il componimento di Quasimodo: possiamo affermare che esso sia connotato da tristezza  sin dall’incipit, cioè dall’inizio. Infatti il poeta connota la “pena”, in  vocativo, come “avara”, quindi poco propensa alla generosità. Le chiede pertanto di non regalare nulla velocemente a lui che già ha il cuore gonfio di solitudine. Come viene descritto questo senso di abbandono? Con le note di  un oboe  freddo ed irrigidito che si avvicendano senza sosta come se fossero una giostra di foglie in caduta perenne, pronte ad essere dimenticate.  Il poeta si chiude a riccio nella propria malinconia. Quest’ultimo sentimento è suscitato principalmente dalla visione del tramonto e dai raggi obliqui del sole che si riflettono sull’acqua e sulle mani del poeta  immerse nell’erba. Nella penombra della sera Quasimodo vede fuggevolmente la sagoma di qualche uccello perdersi nel vuoto ed il vuoto esistenziale si fà ancora più radicato e profondo, a tal punto che il nostro si paragona ad una brulla brughiera mentre sa che trascorrerà giorni brutti come quelli che seguono un bombardamento di guerra.

Proviamo poi a considerare un’altra poesia della stessa raccolta:

Autunno

Autunno mansueto, io mi posseggo

e piego sulle tue acque a bermi il cielo,

fuga soave d’alberi e d’ abissi.

 

Aspra pena del nascere

mi trova a te congiunto;

e in te schianto e risano:

 

povera cosa caduta

che la terra raccoglie.

Cerchiamo ora di analizzare la precedente composizione poetica: il vocativo iniziale  e l’aggettivo che lo caratterizza ci danno l’idea di pace e di tranquillità, ma non c’è gioia alcuna nell’animo del nostro autore: egli, infatti, ripiegato su di se’, guardando il cielo riflesso nell’acqua che supponiamo essere  ferma, come in altre sue composizioni, vede il riflesso allungato degli alberi e gli abissi sottostanti la superficie. Ci induce a pensare che gli stia sfuggendo la realtà intorno sopraffatto da un sentimento di velata malinconia. Infatti ci comunica, subito dopo, di essere unito a questa stagione considerata tradizionalmente “morta” dalla pena del nascere. Ricordiamo infatti che il pianto di chi viene al mondo è sempre stato considerato rivelatore di insofferenza nei confronti della vita appena sbocciata. I sentimenti di Quasimodo si compenetrano nella stagione transitoria che ci porta all’inverno ed egli si paragona ad un oggetto senza vita, che potrebbe essere una foglia rinsecchita, accolta amorevolmante dal terreno su cui si posa. Senz’altro questa è una visione pessimistica del poeta. A questo punto bisognerebbe fare una piccola digressione sul pessimismo nella letteratura greca che tanto appassionò Nietzsche….

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