Sulle rive dell’Adige

Ed ora leggiamo una poesia di Quasimodo che non rientra nella classificazione fino ad ora tenuta. La dedichiamo alla città di Verona:

 

LE ARCHE SCALIGERE

Ora che gli eroi sono fossili arguti

nei musei di storia – soldato, ape soldato

morto ai limiti di verità – e l’uomo

si prova eroe d’astuzia e d’ingiustizia,

e vanno ai secoli moduli e schede

della sua gloria quotidiana a uno a uno,

i segnati di Cristo e d’Anticristo,

torno e saluto la tua arca, Cangrande

della Scala, anche se il tuo corpo intatto

sparì per l’aria e nell’Adige in polvere

viola principesca. Tu fra l’icona

di gerani del vicolo dei Mori

e le bianche botteghe di merciai

eri, sollevato da terra,

un’armatura da schiantare senza pioggia

e fango dalla pietra dura. Pure

i miei padri per millenni tirarono

i loro morti per nasconderli

nelle tane dell’arnia di Pantàlica.

Più vicino al cielo, Cangrande, alla lucente

immaginazione degli astri, più lontano

da terre che l’uomo teme da vivo e da morto.

 

Questa composizione proviene dalla raccolta “La terra impareggiabile”, che comprende poesie scritte tra il 1955 ed il 1958 in cui le tematiche risentono di qualcosa di nuovo. L’anno di svolta su cui fa perno questo libro è il 1956. Esso separa l’ottimismo delle lotte politiche del secondo dopoguerra da una fase di industrializzazione avanzata. Alcuni scrittori non subordinano più la propria produzione poetica alla politica.  Vengono  riabilitati il poemetto pascoliano,  la terzina e la rima, che sono elementi  tradizionali.

Inizia quella che Quasimodo stesso definirà “civiltà dell’atomo”, basata sul neo-capitalismo e sull’impiego della tecnologia, mentre il benessere si basa sulla spinta ai consumi. Poesia e letteratura mutano volto, inizia un processo irreversibile che porta allo sperimentalismo e alla contestazione del bello operata con il massimo rigore operativo.

Quasimodo nel ’45 e nel ’53 aveva sempre sostenuto l’essenzialità del linguaggio. La sua concezione di poesia è quella di impegno metapolitico per l’uomo. Ne “La terra impareggiabile” Quasimodo accentua la capacità di imitazione della realtà, la capacità mimetica. Ci sono impennate prosastiche in un linguaggio ora cronachistico ora lirico. Il linguaggio, molto complesso, tende ad alta prosa poetica. (Finzi).

Ora, su queste premesse, dobbiamo cercare di analizzare la precedente poesia.

Chi pensate stia apostrofando Quasimodo con l’epiteto di eroe? Secondo noi esso è riferito sia a Cangrande ma soprattutto agli uomini sepolti nella  necropoli rupestre di Pantalica, in provincia di Siracusa. Le grotte, scavate a mano dagli uomini dell’età del bronzo,  fungevano da sepolcri  e sono arroccate una sull’altra quasi a ricordare un’ alveare. Presumibilmente i resti (fossilizzati) che vi si sono ritrovati saranno stati portati in qualche museo lì vicino. Ma non è affatto detto che vi si seppellissero solo militari. Pertanto Quasimodo, nei primi versi della poesia, potrebbe aver “contaminato” l’immagine della necropoli preistorica con le sue conoscenze di storia medievale: Cangrande della Scala fu infatti un grande condottiero, deceduto dopo aver mosso guerra a Treviso, nonchè signore della Verona dell’epoca.

Perchè Quasimodo afferma che l’uomo si prova eroe d’astuzia ed ingiustizia? Probabilmente il nostro poeta si riferiva alle circostanze in cui viveva, quelle che avevano portato l’Italia del dopoguerra al boom economico e che avevano creato disparità economico-sociali tra  nord e sud Italia e, al nord, tra alcune zone più sviluppate ed altre meno. (Finzi). Ricordiamo infatti che Quasimodo visse sia ad Imperia che a Milano. Ora il terziario avanzato lasciava segni tangibili negli archivi degli uffici e tale “produzione burocratica” era ciò che rimaneva ai posteri degli anni ’50. Quasimodo faceva molti riferimenti alla figura di Cristo nelle sue poesie, ma spesso non erano riferimenti metaforici, bensì reali. (Macrì). E qui? Non sappiamo se possiamo dire la stessa cosa, forse l'”Anticristo” simboleggia semplicemente il nazifascismo…

Nei versi successivi Quasimodo dialoga con la voce interiore e saluta il monarca come persona passata su un’altra riva (Macrì). Il simbolo solare si amplia e tocca il firmamento e la configurazione dello zodiaco. L’arca scaligera, che è un monumento funebre, è sublimata nel confronto con i morti. Le reliquie sono sottratte alla terra, che è una madre terribile. Ill nostro poeta non la teme ne’ da vivo ne’ da morto.